Un noir che scava nelle pieghe più oscure della società siciliana. Con “Pietracci”, Cristina Granchelli racconta la resilienza di donne forti, le sfide della detenzione e il peso delle scelte. Un romanzo denso di umanità, capace di emozionare e far riflettere su giustizia e redenzione.

Cristina, è un piacere averti qui. “Pietracci” è frutto di un lampo di genio o di una lunga elaborazione?
Buongiorno e grazie, il piacere è mio.
“Pietracci” è frutto di una lunga elaborazione durata circa dieci anni. Ho iniziato a raccogliere le storie del romanzo molto tempo fa e all’inizio la trama riguardava solo la vicenda di donna Anna Tesesco. Ma nel tempo a quella si sono aggiunte altre storie, altre vite che volevo raccontare e che ho inserito man mano che il romanzo prendeva forma.
Da dove nasce la tua passione per la scrittura?
Ho sempre amato scrivere, sin da ragazzina era il mio rifugio e lo è ancora in qualche modo. Raccontare è qualcosa che mi da serenità anche quando le storie che narro non lo sono.
Credi sia importante dar voce a chi vive personalmente queste esperienze?
Credo sia importante dar voce a chi non può parlare le donne del mio romanzo sono in una posizione difficile, ognuna a suo modo, ma soprattutto sono incapaci o impossibilitate a esprimere ciò che pensano, che vivono, i loro tormenti, i sentimenti. Io ho provato a far sentire le loro voci, quelle che urlano, quelle che bisbiglio e anche quelle interiori che nessuno può sentire.
C’è un personaggio con cui hai empatizzato maggiormente?
Io empatizzo con tutti i miei personaggi, in ognuna di loro c’è una parte di me. Ma Eva è quella in cui mi sono identificata maggiormente, lei è una brava persona, cresciuta in una famiglia perbene e deve affrontare delle realtà che fatica a riconoscere. Un po ‘come ho dovuto fare io per scrivere questo romanzo.
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