Un romanzo nato dall’amore per la montagna e dalla voglia di sperimentare nuovi linguaggi narrativi. Enrico Pedace racconta la genesi del libro e il fascino misterioso dell’enrosadira, dove la natura incontra il mito e l’uomo cerca se stesso.

Un caro saluto a te, Enrico. Come hai scelto il titolo del tuo romanzo “Petali di spine”?
Grazie mille per questo bellissimo invito.
La storia verte su un amore impossibile, legato a un evento magico, ma che in realtà rappresenta un fenomeno naturale e visibile sulle Dolomiti: l’enrosadira, il momento in cui, all’alba e al tramonto, le Dolomiti si tingono di rosa.
La leggenda vuole che, tanti secoli fa, le Dolomiti fossero tinte di rosa sempre, in qualsiasi momento del giorno. Un fenomeno possibile grazie a un immenso roseto che ricopriva le vette rocciose del gruppo montuoso del Catinaccio, o meglio, il regno di re Laurino.
L’amore impossibile nasce proprio tra Laurino e la figlia di un suo nemico: Moena, figlie del re dell’Adige.
Moena, rappresenta la purezza e la bellezza, infatti, quando viene portata da Laurino nel roseto, scopre di riuscire a comunicare con quelle rose magiche (da qui l’appellativo di Fata delle Dolomiti).
Tuttavia il loro amore è destinato a essere ostacolato, proprio con la complicità, involontaria, delle rose.
Una sofferenza, quindi, dettata dal fiore che rappresenta la passione e l’amore. Un fiore che è dotato della dimensione passionale grazie ai petali rossi, e alla sofferenza grazie alle spine.
Da questo aspetto ho creato il titolo “Petali di spine”.
Ritieni che la volontà di scoprire l’ignoto sia innata nell’uomo? In che modo hai trattato questa tematica nel libro?
L’uomo di per sé è un essere curioso e desideroso di scoprire, sempre, qualcosa di nuovo.
Un qualcosa che, più è irraggiungibile e più stimola la nostra curiosità. Quindi sì, credo proprio che faccia parte di noi da sempre la volontà di scoprire l’ignoto.
Si può dire che rappresenta quasi una missione, per l’uomo, varcare i confini di ciò che non si conosce.
Nel libro, l’ignoto, è rappresentato dal fato, o meglio, il sentiero della vita di ognuno di noi, che non conosciamo assolutamente ma che, da qualche parte tra le stelle, è già tracciato e ben definito.
Una realtà che affascina e, allo stesso tempo, instilla un velo di inquietudine.
Vorresti trasmettere un messaggio particolare ai tuoi lettori?
Diciamo che ce ne sono vari all’interno della storia. Dall’eterna lotta tra bene e male alla potenza dell’amore che vince sempre su qualsiasi cosa.
Un tema che, invece, ho voluto trattare, ricoprendolo di metafore affini all’ambientazione è l’oggettificazione della donna che, spesso, sfocia in violenza.
La donna, nel libro, è ovviamente rappresentata da Moena che è figlia di un padre padrone (Taller, re del’Adige), il quale a sua volta, pur di raggiungere i suoi scopi è disposto a “vendere” la sua unica figlia cedendola in sposa al migliore offerente.
Un atteggiamento squallido e deplorevole, che rappresenta una pratica diffusa in passato, ma con radici purtroppo profonde nella società odierna.
Come mai hai deciso di riprendere questa specifica leggenda?
Sono un profondo amante delle Dolomiti e della loro unicità.
Ho voluto omaggiare la loro bellezza con un aspetto unico che le contraddistingue: l’enrosadira.
Invito sempre, coloro che mi fanno questa domanda, a recarsi tra le montagne più belle del mondo soprattutto in inverno, quando dopo una magica nevicata, al tramonto, il cielo diventa subito terso e l’aria glaciale è finissima. In quel contesto l’enrosadira esplode in tutta la sua spettacolare bellezza: le vette argentee di queste nobili montagne, sembrano baciate da un sole che si ritira nel suo tramonto, colorandole di un rosa intenso.
Un evento reale, ma che porta con sé qualcosa di magico e romantico.
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